Come i più grandi scrittori moderni, anche Jules Renard è ricorso alla forma traslata del romanzo per narrare la sua storia sentimentale, ma il suo più intimo tormento d'uomo e d'artista l'ha consegnato al "Diario", che rimane forse la sua opera più originale. Contrariamente ad altri "diari" più famosi, non troviamo qui i soliti aneddoti e pettegolezzi della vita letteraria, ma le immagini, i sogni, gli aspetti di Parigi, i fiori, il paesaggio, gli incontri dello scrittore con i vivi e con i morti, l'amara spuma di una esperienza non meno patetica di "Poil de Carotte". Vittorio Luglio che è il nostro miglior conoscitore di Renard, ha estratto dal "Diario" e dalla "Corrispondenza" i giudizi, le note, gli aforismi sull'arte e sul mestiere dello scrittore, mettendo insieme un breviario d'un intenso valore poetico e critico. Un'opera che fa rivivere una grande passione letteraria dell'Ottocento, più spoglia, assoluta, di contro allo stanco tramonto del secolo simile a una lenta liquidazione confusa; dove accanto ai 'veleni' di Renard, e alla tragica disperata confessione prima dei suoi limiti, poi del suo finire d'artista avanti che si compia la vita non lunga, troviamo le cose più essenziali che il poeta delle "Histoires Naturelles" abbia detto a spiegare il classicismo francese più limpido e scarno: un colore unito, un'atmosfera rarefatta, entro i limiti sicuri che pur deve accettare e comprendere chi vuol sentire l'anima profonda di una letteratura, di una civiltà.
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